LA CHIAVE DI TUTTO & IL LATTE DI MANDORLA SICILIANO

È di nuovo Sicilia, per l’undicesima volta.
Sono di nuovo luce, colore, profumi e sapori

Questa è la terra in cui Goethe vide “la purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo con il mare e del mare con la terra”.

Questa è la “chiave di tutto”.

Da Palermo a Bagheria

Eccoci qui, appena scesi dal traghetto.

Salgo in auto al volo, trascinando con me i miei mille ammennicoli. Il Paffu si lamenta della mia lentezza. E non a torto.

Attraversiamo Ficarazzi.
Negozietti aperti sulla strada principale, motociclisti senza casco, condizionatori arrugginiti, Biancanevi e nanetti di gesso sui balconi, improbabili cartelli e pittoresche scritte vergate a pennello sulle serrande chiuse.
Insomma, quasi quasi rimpiangiamo la Cina Popolare.

A Bagheria ci attende una linda cameretta nell’edificio che ospita la stazione.
Una stazione altrettanto pulita.
Così bella che ti pare di essere in Alto Adige.

Appena fuori, però, tanti rifiuti abbandonati lungo le strade.
Una tristezza infinita, perché questa cittadina (un tempo residenza estiva dei nobili palermitani) è tappezzata di preziosi edifici storici.

Ne visitiamo uno: la settecentesca Villa Palagonìa.

Opera di un genio o di un pazzo?
La risposta a questa domanda l’hanno cercata in tanti, perfino degli psichiatri.
Ma non è dato sapere.

Si dice che il principe di Palagonia, ideatore della villa e grande di Spagna, fosse una persona elegante, cortese e generosa.
Ma le orribili creature distribuite tutto intorno al suo palazzo richiamano i disegni dei pazienti catatonici.
Perfino Goethe ne fu -spiacevolmente- impressionato, e nel Faust stilò l’esatta descrizione di un gruppo di mostri presenti nella villa.
Un esempio di caos e di demoniaco che ancora oggi si fregia del nome di palagonico.

Esseri abnormi a parte, la villa è affascinante.
Ha una pianta a V, quattro torrioni agli angoli e, anteriormente, due belle scale a forma di tenaglia.

Di quelle visitabili al primo piano ti colpisce la stanza di Ercole: ovale, con splendidi affreschi raffiguranti le fatiche dell’eroe.
E poi c’è la sala degli specchi, nella quale ti pare quasi che possa comparire all’improvviso il principe di Salina del Gattopardo.

Quegli specchi che tappezzano il soffitto ormai (e fortunatamente) sono bruniti.
Ma, con il loro riflesso, un tempo ricordavano – a chi vi si rifletteva – la fragilità umana: “Specchiati in quei cristalli e nell’istessa magnificenza singolar contempla di fralezza mortal l’immago espressa”.

Il castello di Cefalà Diana

Sulla via del sud.
Lungo una stradina tortuosa abbarbicata sulle pendici dei monti Sicani.
In mezzo al verde e a rari, piccoli borghi.

Il programma prevede una visita al Teatro Andromeda di Santo Stefano Quisquina, sito che risulterà chiuso, nonostante noi abbiamo rispettato gli orari comunicatici per messaggio.

Poco male, perché lungo il tragitto c’è un gioiello ad attenderci.

L’abbiamo visto da lontano, quel castello normanno-arabo-borbonico parzialmente diroccato.
Spiccava orgoglioso sopra una verdeggiante collina alta poco più di seicento metri.

Non la dimenticheremo più, quella torre quadrangolare, con merlature ghibelline e monofore a pieno sesto su ogni lato.
Venti metri di bellezza, di armonia, di alterne vicende, di storia.

Ancor meno dimenticheremo quel piccolo, coraggioso arco alla sua base.

Alcune porzioni delle mura di cinta sono rimaste a contornare queste strutture.
Ma molti di più erano gli edifici originariamente presenti: magazzini, stalle, un cortile triangolare contornato da altri vani, una seconda torre.

Le origini di questo castello risalgono alla colonizzazione greca, ma solo nel XIII secolo venne costruito con la struttura attuale.

In età feudale, con la fama di “rocca imprendibile”, divenne un elemento di importanza strategica per il controllo dei territori circostanti da parte delle famiglie che ne presero possesso.
Famiglie con nomi altisonanti come Chiaramonte e Abbatellis.

Fu occupato da predoni catalani e assediato da truppe di Palermo e delle universitates limitrofe.

Cadde in rovina, venne occupato da contadini del luogo.

Arrivare in cima all’altura, salendo un imprecisato numero di gradini ripidissimi, non è per me facilissimo.
Ho i polpacci doloranti e i capelli bagnati di sudore.
Ma ne vale la pena.

E quei due professori in caftano che, commentando le caratteristiche del luogo, percorrono la scalinata con noi, contribuiscono a rendere la visita più affascinante.
Riportandoci, per qualche istante, al periodo arabo della fortezza.

Cefalà Diana e le terme

Ci fermiamo solo per un attimo, in questo paesino con una grande strada in salita, lastricata di pietre chiare.
Così pulito e bello che, allontanandoci, ci ripromettiamo di tornare.

Cefalà Diana ha un nome greco bizantino: ΚΕΦΑΛΑ.
Forse perché sorge su un’altura a forma di testa (in greco CEFALA significa TESTA), forse perché fondata da un capo o da un nobile.

Ha origini antichissime.
La zona, già abitata in età romana, rimase a lungo una roccaforte musulmana.

Ne è testimonianza il piccolo edificio termale poco distante dal paese: uno stabilimento arabo nato su preesistenti terme romane.

Tre archi e due snelle colonne – i cui capitelli sono ornati con foglie di acanto – dividono il locale in una parte più alta riservata all’emiro e in una più bassa per le persone di ceto inferiore.
A queste ultime sono dedicate le altre due vasche, che raccolgono l’acqua utilizzata in precedenza dal principe.

Nelle pareti esterne sono scavate delle nicchie, che potevano servire come appoggio per gli abiti oppure come stufe per la sudorazione.

Ancora oggi le falde della zona forniscono a questa struttura acqua a 38°C.

Un travel blogger ante litteram, il geografo Idrisi, nel 1154 scriveva “Cefalà è un grazioso paese… ricco di poderi e casali, di acque fluenti, abbondanti stagni e sconfinate distese di terre da seminare”.

Novecento anni dopo, fortunatamente, questo splendido spicchio di Sicilia non è cambiato.

IL LATTE DI MANDORLA
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IL LATTE DI MANDORLA
Lo dice LA CUCINA ITALIANA: lo si prepara con tre soli ingredienti. È un'ottima bevanda, deliziosa in ogni momento della giornata, ricca di calcio, fibre, omega 3, proteine, sali minerali, antiossidanti e -purtroppo- di calorie. Lo si può utilizzare per la preparazione di cocktail, di granite, di budini e di gelati. Ma, a mio parere, il latte di mandorla dà il meglio di sè al naturale. Anzi, addirittura alleggerito con un po' d'acqua fresca e due cubetti di ghiaccio. Perché la "chiave di tutto" risiede comunque nell'essenza.
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Tempo di preparazione 10 MINUTI
Tempo Passivo 1 ORA
Porzioni
PERSONE
Ingredienti
CHE COSA SERVE PER PREPARARE IL LATTE DI MANDORLA CON LA PASTA DI MANDORLE
  • 180 g PASTA DI MANDORLE
  • 900 cc ACQUA FREDDA
CHE COSA SERVE PER PREPARARE IL LATTE DI MANDORLA CON LE MANDORLE (RICETTA DE "LA CUCINA ITALIANA")
  • 150 g MANDORLE SPELLATE
  • 50 g ZUCCHERO SEMOLATO
  • 1000 cc ACQUA FREDDA
Tempo di preparazione 10 MINUTI
Tempo Passivo 1 ORA
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Ingredienti
CHE COSA SERVE PER PREPARARE IL LATTE DI MANDORLA CON LA PASTA DI MANDORLE
  • 180 g PASTA DI MANDORLE
  • 900 cc ACQUA FREDDA
CHE COSA SERVE PER PREPARARE IL LATTE DI MANDORLA CON LE MANDORLE (RICETTA DE "LA CUCINA ITALIANA")
  • 150 g MANDORLE SPELLATE
  • 50 g ZUCCHERO SEMOLATO
  • 1000 cc ACQUA FREDDA
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Istruzioni
PROCEDIMENTO PER PREPARARE IL LATTE DI MANDORLA CON LA PASTA DI MANDORLE
  1. TAGLIO a cubetti la PASTA di MANDORLE, la immergo nell'acqua fredda, la frullo con un frullatore a immersione.
  2. LASCIO almeno un'ora a RAFFREDDARE in frigorifero, coperto con pellicola trasparente.
  3. CONSUMO in giornata.
PROCEDIMENTO PER PREPARARE IL LATTE DI MANDORLA CON LE MANDORLE (RICETTA DE "LA CUCINA ITALIANA")
  1. TOSTO -per 5 minuti in forno a 180°C- le MANDORLE spellate. Le faccio raffreddare.
  2. LE TRITO finemente insieme allo ZUCCHERO e a 200 cc di ACQUA.
  3. AGGIUNGO l'ACQUA rimanente e filtro il composto con un canovaccio pulito.
  4. LASCIO almeno un'ora a RAFFREDDARE in frigorifero, coperto con pellicola trasparente.
  5. CONSUMO il latte di mandorla entro cinque giorni. LA CUCINA ITALIANA assicura che, facendolo BOLLIRE, durerà per un tempo superiore.
Recipe Notes

IL LATTE DI MANDORLA: Come per altre specialità, il latte di mandorla -tipica bevanda siciliana- nacque nei monasteri. Nel Medioevo veniva utilizzato durante la Quaresima, come sostituto del latte vaccino. (Da Wikipedia) - ROBOT: Ho usato il frullatore a immersione, ma questa ricetta può essere eseguita anche con altri robot o a mano.- FONTE: Mi sono ispirata alla ricetta de LA CUCINA ITALIANA, che ringrazio infinitamente. - SE VI È PIACIUTA QUESTA RICETTA, provate anche la TORTA CAPRESE.

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