MALALA: UNA PICCOLA, GRANDISSIMA DONNA

Mi hai fatta commuovere, Malala.

Malala.
Pachistana.
16 anni compiuti ieri.

Dallo scorso ottobre sei in terapia per la riduzione dei danni provocati dall’aggressione talebana: i chirurghi ti hanno sostituito la parte sinistra del cranio con una placca in titanio e inserito un’apparecchiatura elettronica per tentare di compensare la perdita di udito.

 

Hai gli occhi grandi e scuri, penetranti ma dolci.

Vesti di rosa, il tuo colore preferito fin da quando eri bambina.
Porti sulle spalle uno scialle leggero appartenuto a Benazir Bhutto, la tua eroina.

Davanti all’assemblea dell’ONU, parli come un’adulta.

Dici di non poter odiare coloro che ti hanno ferita così gravemente, nemmeno se te li trovassi davanti e stavolta fossi tu ad avere un fucile tra le mani.

È la pietà che hai imparato da Gandhi, Gesù, Martin Luther King, Madre Teresa…
E dai tuoi genitori.

Ma, dei tuoi assalitori, non hai neppure paura: la tua paura è morta con l’attentato, per lasciar posto a “forza, energia, coraggio”.

 

Sostieni che il “Malala day” non è la tua giornata, ma “il giorno di ogni donna, di ogni ragazzo e di ogni ragazza” che abbiano combattuto per i propri diritti.

 

Concludi: “Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo”.

 

Pronunci il tuo discorso con voce forte, determinata, sicura.

Ed è proprio la tua voce a rimanermi dentro.

Penso alle tue coetanee occidentali, con molte delle quali hai in comune solo la passione per il colore rosa.

Penso a noi adulti, che spesso vediamo nella cultura solo un mezzo economico.

Mi rendo conto di quale lezione ci stai dando.

 

Malala.

Forse, a cambiare il mondo, sarai proprio tu.

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