IL LIBRO CHE NESSUNO VOLEVA & I BISCOTTI CON FARINA DI CARRUBE
Capita a tutti di riceverne. Capita a tutti di rimanerci male. Ma, a volte, anche un regalo riciclato può riservarci emozioni dolcissime…
IL LIBRO CHE NESSUNO VOLEVA
Ero sotto l’albero di Natale da almeno una settimana.
Impacchettato in un sacchetto verdino con decorazioni geometriche.
Lavinia, che mi aveva ricevuto in dono, pensava spesso a me: aveva tanta voglia di farmi uscire da quell’involucro, tanta fretta di leggermi.
Ma l’organizzazione e le feste l’avevano travolta.
E poi, c’erano i messaggi di auguri da inviare.
Quelli a cui rispondere.
I biscotti speziati da preparare.
Così, sono rimasto lì ad aspettarla.
Prima o poi -di sicuro- avrebbe trovato un momento per me.
Ero stanco di essere orfano.
Ero umiliato dai rifiuti che continuamente ricevevo.
Ero triste perché nessuno si dava la briga di leggermi oltre la pagina venti.
Eppure, credetemi, non sono così male.
Ho una copertina raffinata al centro della quale spicca una foto vintage.
E un titolo essenziale ma pregno di sapore.
Sono stato stampato da una casa editrice di pregio, una di quelle che sanno riconoscere i talenti autentici.
Mi hanno trasportato all’interno di una grande scatola di cartone ondulato color avana.
Mi hanno esposto -insieme ad altri libri uguali a me- su uno scaffale di legno scuro, nella libreria di una grande città.
Non ci sono rimasto molto, in quel posto silenzioso che sapeva di rispetto e di cultura.
Il giorno dell’Immacolata, finii tra le mani di un distinto signore che, per osservarmi, fece scorrere le mie pagine come fossero carte da gioco.
Mi sovrappose ad altri volumi che teneva appoggiati all’avambraccio sinistro, si guardò intorno e poi si diresse frettolosamente verso la cassa.
“Pacchetto regalo?” gli chiese la commessa.
“Sì, grazie!” rispose il distinto signore, il giornalista Vittorio Mancini.
La signorina ritagliò a mia misura un foglio di carta stampato con antiche carte geografiche e trascinò vicino a sé il dispenser del nastro adesivo.
Un attimo prima che il pacchetto venisse chiuso, il signore porse alla commessa il proprio biglietto da visita. “Potrebbe inserirlo tra le pagine?” le chiese. La ragazza, sorridendo, annuì.
Mi misero insieme agli altri in un sacchetto di cartoncino con le maniglie di corda.
Vittorio pagò, prese la borsetta con i libri, si tirò su il bavero del cappotto.
Poi uscì dal negozio, avviandosi lungo il viale.
Aveva appuntamento con un giovane amico, collaboratore di una prestigiosa testata, per il consueto scambio di auguri.
Si accordarono telefonicamente per un caffè insieme.
Vittorio aprì la porta del bar facendo entrare una folata fredda.
Carlo lo attendeva in fondo al locale, seduto sulla panca foderata di cuoio. Stava digitando su un tablet inclinato sul tavolino. Alzò la testa, incrociò lo sguardo dell’amico.
Si salutarono calorosamente e incominciarono a parlare fitto fitto: della famiglia, dei colleghi, della situazione politica ed economica del paese.
Il tempo trascorse troppo velocemente. Carlo doveva tornare al giornale.
“Ho una cosa per te”, gli disse Vittorio porgendogli il pacchetto che mi conteneva.
Il giovane amico ricambiò con un pacchetto delle medesime dimensioni.
Si strinsero la mano e poi, con un abbraccio amichevole, si fecero gli auguri.
Una volta a casa, il giovane giornalista mi sfogliò.
Lesse l’introduzione, vide che la mia storia era ambientata ad Agrigento.
Mi porse alla moglie Dora, che, di tutto ciò che sapeva di Sicilia, era una grande appassionata.
Lei affrontò con entusiasmo le prime pagine.
Seguì con interesse la descrizione dei palazzi e delle strade cittadine.
Ma quella della campagna no, proprio non la coinvolgeva.
“Forse può piacere a tua mamma”, disse al marito.
E mi abbandonò sulla piccola mensola che riparava il termosifone della cucina.
Era destino: Bianca, la suocera, arrivò a trovarli la mattina dopo, di buon’ora.
Fecero colazione insieme, con un caffè e le brioche ancora tiepide che lei aveva acquistato in pasticceria. Il profumo di vaniglia e di burro aveva invaso la stanza e invitava a mettersi all’opera.
Chiacchierarono appollaiati sugli sgabelli intorno al bancone, Bianca perfettamente agghindata e truccata, i ragazzi arruffati e in pigiama.
Programmarono l’organizzazione dell’imminente cena della vigilia.
“Ci sono delle ricette, in appendice al libro che ci hanno regalato ieri”. Dora si risvegliò dal torpore in cui si rifugiava durante le visite della suocera e scese dallo sgabello.
Si avvicinò lentamente al termosifone, vi si appoggiò un attimo per riscaldarsi la schiena, allineò distrattamente i volumi che stavano sulla mensola. Ne scelse uno piccolo e scuro.
Scelse me.
Non trovarono la ricetta che cercavano.
Forse non la cercarono neppure.
Ma io passai a un altro proprietario.
“Posso leggerlo?” chiese infatti Bianca al figlio “Me ne hanno parlato bene”.
Così, uscii da quella casa dentro l’immensa borsetta della signora, circondato da fazzoletti di carta, buste per gli occhiali e mazzi di chiavi.
In realtà, a Bianca non interessava la mia lettura.
Da donna pratica qual era, aveva visto in me il regalo ideale per un’amica appassionata di Sicilia e di cucina.
Per Lavinia.
La quale mi mise sotto l’albero di Natale e attese con ansia di conoscermi.
E adesso io e Lavinia siamo qui, l’uno davanti all’altra.
Mentre mi libera dal sacchetto verdino, sembra perfino emozionata.
Si mordicchia il labbro inferiore, mi rigira tra le mani scorrendo con gli occhi tutto ciò che si può leggere sulla mia copertina, compresi i risvolti.
Siede sul divano, poggia le gambe al poggiapiedi e incomincia a leggere le prime pagine.
”Insomma…”, sussurra.
Sembra delusa. Non le piace il contesto un po’ snob in cui sono ambientato.
Si chiede se l’autrice, parlando -in una storia autobiografica- di camerieri e servitù, si sia resa conto di quanto tutto ciò sia lontano dalla gente comune.
Prosegue ugualmente, anche se faticosamente, nella lettura: un libro di cucina ambientato in Sicilia, pensa, merita ancora una chance.
E poi arriva a pagina settantotto.
È un capitolo di poche facciate.
Semplice semplice, ambientato in cucina.
Un capitolo in cui due sorelle preparano dolci insieme.
C’è curiosità, in quelle righe: la curiosità di una bimba che, attraverso una fessura, osserva la mamma e la zia cucinare.
C’è conoscenza tecnica, nella descrizione della cospicua attrezzatura per pasticceria utilizzata dalle protagoniste.
C’è amore, tanto amore.
Tutto l’amore di una bimba per la madre e la zia, di nuovo vive e presenti davanti a quei fornelli.
Lavinia ripensa alla propria nonna.
La rivede accanto a sé, come le accade tutte le volte che prepara uno di quei piatti di cui non esiste ricetta scritta, ma che sembrano esserle stati trasmessi con il DNA.
Deglutisce piano.
Si commuove.
Mi richiude, con il dito indice tra i fogli per tenere il segno.
Rimane ferma, gli occhi socchiusi, la mente altrove, il cuore pieno di dolcezza.
Poi si alza lentamente, raccoglie il biglietto da visita sfuggito dalle mie pagine.
Senza guardarlo, lo inserisce a pagina settantotto.
Mi appoggia sul ripiano dove tiene i propri libri più cari.
E io non sono più orfano.
CHE COSA SERVE?
- 200 g di MANDORLE sgusciate e pelate
- 200 g di ZUCCHERO SEMOLATO
- 10 g di FARINA di POLPA di CARRUBE + un po' (l'ho acquistata sul sito www.basilepasticceri.it)
- la scorza grattugiata di mezzo LIMONE
- 70 g di ALBUME circa
COME FACCIO?
- PRERISCALDO il forno (statico) a 180°C.
- FRULLO le MANDORLE insieme allo ZUCCHERO: le TRITO per 40-60 secondi, fino a ottenere una polvere molto fine. N.B.: Conviene tritare in due o più step, staccando ogni tanto dalle pareti del boccale (con l’aiuto di una spatola rigida) la polvere di mandorle e zucchero.
- AGGIUNGO la FARINA di POLPA di CARRUBE e la BUCCIA di LIMONE grattugiata e frullo per altri 10 secondi o fino a quando la polvere ottenuta avrà assunto un colore uniforme.
- UNISCO l'ALBUME e frullo. La quantità di albume è quella necessaria per ottenere un composto semisolido che inserirò in un SAC à POCHE con foro medio.
- DISTRIBUISCO su un piatto un po' di FARINA di POLPA di CARRUBE setacciata. Vi faccio cadere dei MUCCHIETTI di impasto del peso di circa 12 g ciascuno. Su di essi, utilizzando un colino, spando altra FARINA di CARRUBE.
- CON le MANI, formo delle PALLINE che suddivido -distanziate- su una leccarda ricoperta di CARTA FORNO.
- INFORNO e cuocio per circa 10 minuti. L'interno deve rimanere morbido, la crosticina appena appena croccante.
- FACCIO RAFFREDDARE su una griglia.
- SI CONSERVANO per qualche giorno in una SCATOLA di LATTA.
I MIEI APPUNTI
Pane per i tuoi denti
Valeria De Rossi. Una dentista, una pasticciera, una food blogger. Sono io. Entusiasta di natura, pignola per professione, amo i romanzi ben scritti, il Victoria Peak di Hong Kong, le torte alla mandorla, la mia Nikon e tutti i dispositivi marchiati Apple. I miei difetti? Sono permalosissima e per niente sportiva.