SUPERBA INDAGINE. CON MONTALBANO, PETRA, RUBENS & LA VERZA STUFATA
Immagino che tutti conoscano il commissario Montalbano e Livia, la sua storica fidanzata genovese.
Per questo, ho scelto lui -in trasferta culturale- quale protagonista del racconto dedicato alla Superba città ligure.
Avevo già in mente la trama, i luoghi, le persone.
E invece, nella narrazione, è inaspettatamente comparsa come un ciclone Petra Delicado, ispettore di polizia, donna affascinante e indipendente.
E così, la vicenda ha preso tutta un’altra strada.
Che, poi, si sia trattato della Strada Nuova -quella dei magnifici palazzi di Genova- è un’altra storia.
P.S.: Un grazie di cuore ad Alessandra Gennaro per i suoi meravigliosi webinARTE. Questo, che con tanta passione ha dedicato alla sua città, è stato a mio parere il più bello. Grazie anche ad Alicia Giménez Bartlett e al compianto Andrea Camilleri per avermi prestato i loro personaggi.
SUPERBA INDAGINE
“Ih, che camurria!”.
Scendendo la scala che conduce al portellone di uscita, Montalbano cerca di scansare la fiumana dei passeggeri, tenendosi stretta contro il fianco la borsa di ecopelle nera che Livia gli ha regalato a Natale.
Questa volta ha deciso di raggiungere Genova in traghetto.
E, nonostante la durata e i maggiori disagi del viaggio, è soddisfatto della scelta: un tragitto di quasi ventiquattr’ore ti lascia tempo per riposare, per riflettere, per leggere.
Prima di partire, ha comprato dei fascicoli dedicati a Rubens e al suo libro Palazzi di Genova.
Sono testi leggeri, e li ha portati con sé per studiarli durante il viaggio: perché, a Genova, è in corso una mostra dedicata a questi argomenti. E lui, da sempre appassionato d’arte, non vuole perdersela.
Si perderà invece questa prima giornata genovese che avrebbe voluto trascorrere con la fidanzata: a lei la pittura del Seicento interessa poco, è occupata fino a sera in un convegno e hanno deciso di comune accordo di incontrarsi prima di cena, per l’aperitivo.
Nel piazzale del ponte Assereto, Montalbano annusa l’aria salmastra, respirando così profondamente da sentire in bocca il sapore del sale.
Si guarda attorno, e si ferma per un istante, affascinato da questa singolare città che sembra spalmata dalle colline al mare.
La sirena di una nave poco lontana lo risveglia dai suoi pensieri.
Solo ora, il commissario si rende conto di avere sete.
Tasta l’interno della borsa alla ricerca di quella bottiglietta d’acqua minerale che, ne è sicuro, Adelina gli ha preparato.
Ma, con i polpastrelli, avverte solo la morbidezza della biancheria.
Decide di fermarsi in un bar.
C’è un locale nuovissimo, vicino al Bigo del Porto Antico.
Moderno, interamente circondato di vetrate.
Ogni volta che ci passano vicino, Salvo propone a Livia di entrare. Ogni volta, lei -che invece ama le atmosfere retro– lo trascina altrove.
Per raggiungerlo, a piedi ci vuole un po’ più di mezz’ora, ma Montalbano ha voglia di camminare.
Entra, si siede soddisfatto al bancone.
“Una bottiglietta di acqua gassata, per favore”, ordina al barista che a malapena ha alzato la testa al suo ingresso.
La beve tutta d’un sorso.
“Per cortesia, mi farebbe anche un caffè?”. Il barman non solleva neanche gli occhi, e si mette ad armeggiare con la Cimbali.
“E mi darebbe una brioche?”.
Lo sa, Montalbano, che qui fanno colazione con la focaccia. Ma per un siciliano è impensabile non incominciare la giornata con un dolce.
Improvvisamente, qualcosa sembra attirare l’attenzione del barista: è una donna sulla quarantina che varca rumorosamente la porta.
Ha lunghi capelli castani, lo sguardo corrucciato, il passo deciso.
Indossa scarpe basse di foggia maschile, un lungo trench nero, camicia e pantaloni grigio scuro.
Siede sullo sgabello al fianco di Montalbano.
“Il solito?” le domanda il barman, con un sorriso.
Al cenno affermativo di lei, il giovane azzarda un “Come mai qui di prima mattina?”, al quale riceve come risposta un laconico “Ferie”.
Il commissario, sconcertato, gira il cucchiaino nel proprio caffè, scartabellando i fogli A4 su cui Catarella ha stampato le informazioni sulla mostra.
“Rubens a Genova”, esclama la donna, vedendoli. “Oggi mi sono presa un giorno di vacanza per andare a visitarla, questa mostra. Vuoi venire con me?”
Montalbano rimane a bocca aperta: non si abituerà mai alla sfrontatezza di certe donne.
Ma il centro storico l’ha sempre visitato al seguito di Lidia, e da solo rischia di perdercisi.
Una accompagnatrice del luogo gli sarebbe di grande utilità.
“Se la cosa non ti rompe i cabbasisi”.
Pronunciando in modo un po’ impacciato la frase, il commissario allunga la mano destra e tenta di presentarsi.
“Solo i nomi di battesimo, nessuna informazione personale”, lo interrompe lei.
“Salvo”.
“Petra”.
Fianco a fianco, si avviano verso le due torri di Porta Dei Vacca.
“Genova è unica”. La voce di Montalbano continua a essere sottotono.
“Hai ragione” continua lei. “Ne conosci la storia?”
“Poco” risponde lui.
È vero: del resto, Livia non la ama, la storia.
Come non ama l’arte, né l’architettura.
E raramente l’ha accompagnato a visitare i luoghi che rimandano al passato.
“Fin dal Medioevo, questa città senza territorio è fulcro di scambi, grazie ai quali diviene un centro ricchissimo. Nel Cinquecento, diventerà addirittura un polo finanziario di primo piano e, con ad Andrea Doria, una fiorente Repubblica”, inizia Petra.
“A Brera ho visto il ritratto di questo “principe” che tanto sarebbe piaciuto a Machiavelli. È un olio su tela del Bronzino, in cui Andrea Doria impersona Nettuno. Certo, non poteva essere altri che il dio del mare”, la interrompe Salvo.
“Lo meritava” continua lei “Ha ottenuto la libertà di Genova in cambio di finanziamenti all’imperatore Carlo V e ha sconfitto i Saraceni. Tanto che il popolo gli ha offerto il titolo di sovrano. Titolo che lui ha rifiutato, preferendo un’oligarchia retta da un Doge rieletto ogni due anni”.
“È grazie a lui che la città è ha assunto il suo ruolo commerciale? Se non ricordo male, la compravendita di pasta, zucchero, allume, perfino rose candite acquisì un’enorme importanza” interviene Montalbano.
“Certo, e l’aristocrazia mercantile divenne un’aristocrazia finanziaria. Addirittura, con la concessione di prestiti ai grandi d’Europa. Fu allora che re, principi e potenti incominciarono a visitare Genova, e Genova si preparò alle loro visite”.
La donna ha una falcata di tutto rispetto.
Ma Salvo, che quasi quotidianamente si allena sulla spiaggia di Marinella, non fatica a tenerle dietro.
Camminano parlando stretto, i due.
E, quasi senza accorgersene, si ritrovano in via Garibaldi.
Petra è un fiume in piena: “Questa è l’antica Strada Nuova, la via dei palazzi più belli. Quella dove avveniva l’accoglienza delle personalità straniere in visita alla Repubblica. Gli alloggi erano classificati in diverse categorie in base alla qualità architettonica della sede, alle collezioni d’arte, alle decorazioni. In pratica, era stato istituito il sistema dei Rolli, gli elenchi delle nobili famiglie la cui dimora era adeguata all’hospitaggio”.
“Passando, sono rimasto folgorato da tre meravigliosi edifici. Uno -bianco e giallo- in Salita Santa Caterina. Gli altri due – uno con uno splendido loggiato, l’altro decorato da un bugnato a punta di diamante- lungo via Garibaldi”.
Con questa affermazione, Montalbano tenta di interrompere la sua interlocutrice.
Invano: “Devo ammettere che hai buon gusto: sicuramente erano Palazzo Doria, Palazzo Doria Tursi e Palazzo Lercari Parodi. I più prestigiosi in assoluto, gli unici a poter ospitare i dignitari di più alto rango come re, imperatori e papa”.
“Sono così belli che anche Rubens se ne è innamorato”. Montalbano si morde la lingua: innamorato non è il termine più adeguato da usare con una sconosciuta. Ma questa donna, così dura e decisa, ha un fascino che lo intriga. Aggiusta il tiro: “Esattamente quattrocento anni fa li ha descritti e disegnati in un libro”.
Piazza de Ferrari, con l’eclatante fontana rotonda e il neo-cinquecentesco Palazzo della Borsa, fa da anticamera a Piazza Matteotti e al luminoso Palazzo Ducale, sede dell’esposizione dedicata a Rubens.
Salvo acquista i biglietti per entrambi.
Petra gli porge le banconote per pagare la propria parte.
Scambiandosi denaro e biglietti, si sfiorano con le dita.
Si guardano negli occhi per un istante, poi tutti e due distolgono lo sguardo imbarazzati.
“Lo sai?” questa volta è Montalbano a prendere la parola “Pieter Paul Rubens nasce sotto il segno dello scandalo. Nelle Fiandre dilaniate da incomprensioni tra cattolici e protestanti, suo padre Jan -magistrato colto e insigne, filocalvinista- si trasferisce a Colonia quale patrocinatore di Anna di Sassonia. Ma accade un evento inatteso: lei si innamora di lui (di nuovo questa maledetta parola, maledizione!) e ne nasce una relazione che porterà l’uomo al carcere e al conseguente esilio. Durante il quale nascerà il pittore. Alla morte di Jan, la moglie affiderà il figlio, tra gli altri, al maestro Otto Vaenius, che in Italia aveva conosciuto Zuccari e Correggio e trasmetterà al ragazzo la propria raffinatezza e il proprio desiderio di viaggiare. Così, dal 1600, Rubens si trasferirà per otto anni in Italia, facendo tappa a Venezia, a Roma e, naturalmente, a Genova. Inoltre, a Mantova, sarà pittore di corte al seguito di Vincenzo I Gonzaga, per la raccolta del quale eseguirà una serie di copie di nudo”.
Petra fatica a rimanere in silenzio.
Poggiando la mano sul braccio di Salvo, tenta di interrompere questa valanga di informazioni.
Al suo tocco, lui si ferma di scatto, senza respirare.
A questo punto, a raccontare, è lei.
“Hai mai visto la sua Circoncisione di Gesù? È in una chiesa gesuita qui vicino. Un’opera emozionante, drammatica, che ha un significato simbolico: durante questa cerimonia ebraica, infatti, al bambino veniva imposto il nome. Che ha un’importanza fondamentale soprattutto per la Compagnia che gliel’ha commissionato. In questo quadro trovi il movimento del Tintoretto, i colori di Tiziano, la luce fiamminga, la morbidezza e la sensualità degli angeli rubensiani, il primo evento cruento della vita di Cristo. Nessun dubbio: la sua teatralità ne fa la prima opera barocca della storia dell’arte”.
“Oppure… sei mai stato a Palazzo Spinola a vedere il Ritratto equestre di Gio’ Carlo Doria, l’unico aristocratico con tanta faccia tosta da farsi rappresentare a cavallo pur non essendo un principe? E da assegnarsi la Croce di San Giacomo pur non avendola ancora ricevuta? È un dipinto pieno di dinamismo, in cui il cavaliere tiene le redini tra due sole dita: perché non governa il destriero con la forza, bensì con l’intelligenza”.
Petra e Salvo continuano la visita camminando lungo le gallerie, a tratti parlandosi, a tratti in silenzio.
Lui si chiede che cosa lei nasconda dietro la propria ostentata sicurezza.
Se abbia una famiglia.
Quale sia la sua professione.
Ma “niente informazioni personali”, gli ha intimato lei.
E lui intende rispettare la sua richiesta.
Si distrae in questi pensieri, Montalbano.
Si distrae, mentre osserva l’immagine sontuosa di Violante Maria Spinola Serra sulla tela che fa da testimonial alla mostra.
Ne ammira l’abito rigidissimo e prezioso che riflette la luce, la gorgiera impalpabile che pare in movimento.
Le guarda gli occhi remissivi, l’espressione dolce.
No, si dice: Violante non è come le altre donne genovesi del Seicento, spavalde e senza vergogna nel rapportarsi agli uomini, moderne e indipendenti come quelle di oggi.
Non è come Petra.
Improvvisamente, avverte accanto a sé una sensazione di vuoto.
Si gira all’indietro cercando con lo sguardo la sua accompagnatrice.
Petra non è più al suo fianco.
Se n’è andata senza un saluto, senza una spiegazione.
Salvo avverte in bocca un sapore amaro, nel petto un senso di delusione.
“Minchia!”, sussurra.
Ma doveva finire così…
E allora si assesta saldamente a tracolla la borsa nera di ecopelle.
Raddrizza le spalle.
Contrae i muscoli delle guance.
Sbuffando, si avvia verso l’uscita del museo.
Lentamente, si dirige verso il Klainguti.
Pian piano, però, mentre cammina sente le labbra sciogliersi in un sorriso: in quel caffè ottocentesco dalle pareti color crema e le finiture dorate, davanti a uno spritz e a un piatto di cuculli, sicuramente c’è Livia che lo aspetta.
Questo articolo è ispirato alle lezioni dedicate a Rubens e ai palazzi di Genova, tenute online da Alessandra Gennaro.
Mi scuso per eventuali errate interpretazioni, scorrettezze, omissioni. E, soprattutto, per le divagazioni frutto della mia fantasia.
Ringrazio Alessandra per le splendide conferenze e Wikipedia per le immagini.
LA VERZA STUFATA
Ingredienti
- 50 g OLIO EVO
- 30 g CIPOLLA tritata
- SALE
- 1 kg VERZA
- 50 g ACETO BIANCO a piacere
Istruzioni
- PULISCO e lavo la VERZA.
- LA TAGLIO a striscioline, togliendo le parti più dure.
- IN UNA PENTOLA capiente (io utilizzo l'AMC da 6 litri) soffriggo la CIPOLLA con OLIO e SALE.
- AGGIUNGO la VERZA e, a fuoco medio-basso, PORTO A COTTURA, aggiungendo ogni tanto, se necessario, qualche cucchiaiata di acqua bollente.
- A PIACERE, poco prima di arrivare a cottura, è possibile spruzzare la verza con ACETO BIANCO. La nonna lo faceva. Io preferisco fermarmi al punto precedente.
Note
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Pane per i tuoi denti
Valeria De Rossi. Una dentista, una pasticciera, una food blogger. Sono io. Entusiasta di natura, pignola per professione, amo i romanzi ben scritti, il Victoria Peak di Hong Kong, le torte alla mandorla, la mia Nikon e tutti i dispositivi marchiati Apple. I miei difetti? Sono permalosissima e per niente sportiva.