UNA STORIA D’AMORE & LE GIRELLE CON I POMODORINI ALLA CALABRESE

C’è un pittore del Quattrocento di cui pochissimi italiani hanno sentito parlare, ma che è molto apprezzato in un paese -l’Inghilterra- che ne ha acquistato gran parte delle opere: si tratta di Carlo Crivelli, veneziano.

La sua arte è fatta di prospettive spiccate, di decorazioni esasperate ma seducenti. Il suo disegno è graffiante, irrequieto, spesso inquietante. Le sue opere, insomma, hanno un fascino unico.

Vi assicuro: vale la pena di conoscerlo.

Meglio ancora se sotto la guida di Alessandra Gennaro, durante una delle splendide lezioni online di WebinARTE.


UNA STORIA D’AMORE

Venezia, 7 marzo 1457

Tarsia, amore mio, quanto mi manchi!

Guardo il cielo entrare attraverso le sbarre e rivedo l’azzurro dei tuoi occhi.
Sento lo sciabordio delle onde e ricordo la dolcezza della tua voce.
Respiro l’odore salmastro del mare e ripenso al tuo profumo.

Anche qui, solo in questa cella, avverto sotto le dita la morbidezza della tua pelle.
E, sulle labbra, ho il sapore dei tuoi baci.

Mi hanno trascinato in carcere con le mani legate.
La gente, nelle calli, mi additava e mi scherniva.
“Hai voluto rubare la moglie a un onest’uomo, un marinaio lontano per lavoro? Questo è ciò che ti meriti”, mi gridavano.

Ma io non ti ho rubata, Tarsia mia.
Io ti possiedo da sempre.
Tu, da sempre, possiedi me.

Venezia, 7 settembre 1457

Tarsia, amore mio, dove sei?

Credevo che ti avrei trovata ad aspettarmi, oggi, fuori dalla prigione.
E invece il cortile era deserto.

Sono andato di corsa a casa nostra.
Ansimavo, avevo il cuore in gola.
Ma le stanze erano vuote, polverose.

Allora mi sono precipitato là, dove, prima di conoscermi, avevi abitato con tuo marito.
La porta era sprangata, le finestre chiuse.

Le mie nocche hanno sanguinato per il tanto bussare.
Ho gettato sassi contro le imposte.
Ho urlato fino a rimanere senza voce.

Niente.

Allora, disperato, me ne sono andato da Venezia.
Per non tornare mai più.

Zara, 15 maggio 1465

Tarsia, amore mio, sappi che non ti ho dimenticata.

Vivo da anni in Dalmazia.
Qui mi considerano “habitator”, “civis”, “pittore veneziano”.

Firmo le mie opere “Opus Caroli Crivelli Veneti”.
Perché, anche se sono lontano, il mio cuore resta a Venezia.

Rimane lì, vicino a te.


Carlo Crivelli, Annunciazione con S. Emidio (1486)

Ascoli, 25 marzo 1482

Tarsia, amore mio, siamo lontani da oltre venticinque anni, eppure non posso non pensare a te quando mi accade qualcosa di bello.

Oggi, festa dell’Annunciazione, qui ad Ascoli Piceno -dove da tempo mi sono trasferito- è arrivata la bolla papale “Libertas Ecclesiae”, che concede l’autonomia a questa città finora dominata dal papa.

Ebbene, proprio ora ho ricevuto l’incarico di dipingere una grande pala per celebrare l’evento.

Mi ci vorrà molto tempo per portare a compimento l’opera, ma sono sicuro che sarà il mio capolavoro.

E non potrò che dedicarlo a te.

Ascoli, 24 marzo 1486

Tarsia, amore mio, ti scrivo mentre stendo le ultime pennellate sulla tela de L’Annunciazione con Sant’Emidio.

Ce l’ho fatta: la pala che mi è stata commissionata quattro anni fa è terminata e domani verrà esposta nella chiesa della Santissima Annunziata dei Frati Minori Osservanti.

D’ora in poi, ogni anno, il 25 marzo una processione percorrerà le strade cittadine e si concluderà ai suoi piedi.

È un’opera imponente.
Da queste parti, dicono anche che abbia qualcosa di speciale.

Anch’io lo penso: ho posto l’arcangelo Gabriele all’esterno della casa di Maria, nel momento in cui lo Spirito Santo le invia quel raggio celeste che la trasformerà nella madre di Dio.

Al fianco dell’angelo c’è Sant’Emidio -il santo patrono- che, tenendo in equilibrio un modellino della città, chiede la sua intercessione per Ascoli.

Ho voluto che la Vergine, dolcissima, rappresentasse una donna del nostro tempo.
E che il suo corpo proteso in avanti, le sue braccia incrociate sul petto ne mostrassero la gioia per l’evento.

Nella camera che la ospita ho dipinto un soffitto a cassettoni a richiamare quello del piano superiore, tessuti e drappeggi preziosi, e i segni della castità e del suo matrimonio con Cristo: il letto intatto, gli oggetti nuovi, la candela.

Intorno ai tre protagonisti -e sotto il messo e l’ufficiale cittadino che si stanno scambiando il documento papale su un terrazzo- ho voluto che la città, ignara, continuasse a vivere la propria vita.
E che solo un bimbo e un giovane si accorgessero del fatto straordinario.

Ho curato le ombre per dare profondità all’immagine.

Ho inserito i simboli cristiani: il pavone per l’immortalità e la regalità, il cardellino per la passione, il giglio e la colomba per la purezza.

E ho rappresentato quelli che sono e saranno per sempre il mio marchio: la mela per il peccato originale, un cetriolo colmo di semi per la resurrezione.

Lo ammetto: per la prospettiva e per quel punto di fuga lontanissimo e laterale mi sono ispirato al Mantegna, per quel muro che divide i personaggi a Giovanni Angelo d’Antonio.
Ma i loro modelli li ho radicalmente modificati, adattandoli a uno stile solo mio.

Quello stile che ho iniziato a plasmare quando tu e io vivevamo insieme, e che tu tanto mostravi di apprezzare.


Carlo Crivelli La Madonna della Rondine (dopo il 1490)

Matelica, 8 dicembre1490

Tarsia, amore mio, come vorrei averti qui, ad alleviare la mia angoscia!
Terresti le mie mani tra le tue, le carezzeresti dolcemente, e forse il mio dolore scemerebbe.

Mio figlio è morto tre anni fa, e io ancora non mi do pace.

Mi sono buttato a capofitto nel lavoro.
La mia bottega si è fatta grande, famosa.
Sono divenuto il “pittore delle chiese marchigiane”.

Ma il dolore per la perdita di colui che era carne della mia carne è inestinguibile.

In questo periodo ho dipinto un’altra pala.
Mi è stata commissionata dagli Ottoni, una ricca e importante famiglia.

L’opera è contenuta in una preziosa cornice con fregi dorati.
Grandissima, rappresenta una Sacra Conversazione, e sovrasta una predella costituita di cinque pannelli.

Maria è eterea, bellissima e soave.
Siede su un trono fastoso, sul quale è appollaiata una rondine, segno di rinascita.
E dal quale pendono i frutti che sono la mia “firma”.

Gesù, sulle ginocchia della Vergine, la indica a un San Girolamo un po’ accigliato, ai cui piedi è rannicchiato il leone dalla cui zampa il santo tolse una spina.

Sulla destra, ho raffigurato un San Sebastiano bello ed elegante.
Tiene in mano la freccia del suo martirio e, in onore dei miei prestigiosi committenti, è vestito da cavaliere.


Carlo Crivelli, Predella de La Madonna della Rondine (dopo il 1490)

In molti mi chiedono se, nella parte parte alta, siano intervenuti i miei collaboratori.
Non lo ammetterò mai, ma la differenza dello stile e dei colori tra pala e predella lo farà sospettare in eterno.

Perché i tre pannelli centrali della parte bassa hanno tinte più spente rispetto alla pala.
I protagonisti sono dolenti, smunti, contratti.

Quasi a esprimere tutta la sofferenza che mi lacera l’anima.


Carlo Crivelli, Santa Maria Maddalena (1491-94)

Fabriano, 6 agosto 1494

Tarsia, amore mio, sento che la fine si avvicina. 

Le forze mi stanno abbandonando.
Non mangio, non bevo.
Nulla mi dà più piacere.

Vorrei lasciarmi andare, permettere al buio di scendere sui miei occhi. 
Ma c’è ancora qualcosa che mi trattiene. 
È il ricordo di te, così forte, così intenso, così tenero. 

Le gambe faticano a sostenermi, ma, appoggiandomi ai mobili del mio studio, riesco piano piano ad alzarmi. 
Mi avvicino lentamente a quella Maddalena sulla quale negli ultimi anni ho lavorato.

Mi lascio cadere su uno scranno di legno scuro.
Strizzo un po’ gli occhi per mettere a fuoco.

Ho dipinto la santa con un abito rosso e blu, il corpetto slacciato, le maniche decorate.
Con la mano sinistra, solleva quasi vezzosa il mantello foderato di verde, scoprendo il piede calzato da un piccolo sandalo.
La destra mostra il vaso dorato dell’unguento.
Ha un filo di perle tra i capelli biondo rossicci, lunghissimi e inanellati in riccioli regolari.

Ne osservo il viso, l’incarnato delicato.
La guardo, la riguardo.
E finalmente comprendo perché ho dedicato tanto tempo a quest’opera, perché mi è così difficile separarmene.

Tue sono le sopracciglia sottili, tuo il taglio degli occhi allungato, tue le labbra strette.
Tuoi il naso e il mento affilati che il mio pennello inquieto ha ricordato.

Tarsia, amore mio.
Questa donna sei tu.

Finalmente posso lasciar cadere le braccia.
Abbandonare le spalle.
Abbassare la testa sul petto.
Rallentare il respiro.

E, con la tua immagine nel cuore, chiudere gli occhi per sempre.


Questo articolo è ispirato alle lezioni dedicate alla National Gallery di Londra, tenute online da Alessandra Gennaro.

Mi scuso per eventuali errate interpretazioni, scorrettezze, omissioni.
E, soprattutto, per le divagazioni frutto della mia fantasia.

Ringrazio Alessandra per le splendide conferenze. Ringrazio anche il bellissimo sito della National Gallery di Londra per la possibilità di scaricare le immagini di tutte le opere d’arte di questa presentazione.


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IL TUO “QUADERNO DEGLI APPUNTI”

Cliccando sulla copertina riportata qui sopra, è possibile scaricare il PDF con le immagini e i titoli degli argomenti trattati durante la lezione. Nel file sono stati appositamente lasciati degli spazi bianchi per eventuali annotazioni.

LE GIRELLE CON I POMODORINI SECCHI ALLA CALABRESE

LE GIRELLE CON I POMODORINI SECCHI ALLA CALABRESE

Uno stuzzichino fatto di due ingredienti, pronto in un quarto d'ora, che si è rivelato un successo. L'idea del è del Paffu, che di cose buone se ne intende… eccome!
Preparazione5 min
Cottura10 min
Tempo totale15 min
Portata: Antipasto, Aperitivo, Snack
Keyword: pasta sfoglia, pomodorini secchi
Porzioni: 15 pezzi circa

Ingredienti

  • 230 g PASTA SFOGLIA RETTANGOLARE BUITONI
  • 160 6 POMODORINI SECCHI ALLA CALABRESE SOTT'OLIO D'AMICO (peso da sgocciolati)

Istruzioni

  • PRERISCALDO il FORNO a 200°C (ventilato) per circa 20 minuti.
  • FRULLO a colpetti con il Bimby/Thermomix (o con altro tritatutto) i POMODORINI SECCHI ALLA CALABRESE parzialmente sgocciolati.
  • SE NECESSARIO, ammorbidisco il trito di pomodorini con qualche cucchiaiata di OLIO.
  • STENDO la PASTA SFOGLIA sul piano di lavoro, lasciandola sopra la carta forno in cui è confezionata.
  • COSPARGO la pasta sfoglia con il TRITO di POMODORINI.
  • ARROTOLO la pasta sfoglia su se stessa, aiutandomi con la CARTA FORNO.
  • TAGLIO a RONDELLE (dello spessore di circa 1,5-2 cm) questo cilindro di pasta sfoglia, arrotolato e farcito con il trito di pomodorini.
  • DISTRIBUISCO le GIRELLE su una leccarda foderata di carta forno, avendo cura che la parte tagliata sia appoggiata a piatto sulla teglia e che i pezzi siano abbastanza distanziati.
  • INFORNO e CUOCIO per circa 10 minuti.
  • TOLGO dal forno e lascio RAFFREDDARE prima di rimuovere dalla leccarda.
  • SERVO a TEMPERATURA AMBIENTE.

Note

I POMODORINI SECCHI ALLA CALABRESE: si tratta di pomodori -in genere San Marzano- essiccati e conservati in olio extra vergine di oliva con l’aggiunta di aromi, aglio, capperi e peperoni. Il loro sapore è più marcato rispetto ai normali pomodorini sott’olio: si prestano quindi alla preparazione di snack e di ricette stuzzicanti. – ROBOT: Ho usato il Bimby/Thermomix, ma questa ricetta può essere eseguita anche con altri robot o a mano. – FORNO: Quelli indicati nella ricetta sono tempi e temperature di cottura effettivi (la temperatura è stata misurata con termometro a sonda) per il forno Gaggenau; per altri forni, potrebbero essere diversi. Se non indicato diversamente nel testo, la cottura avviene ponendo il cibo al secondo livello del forno, incominciando dal basso. – SE VI È PIACIUTA QUESTA RICETTA, provate anche gli ALBERELLI CON TAPENADE DI OLIVE.

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