LA CANNA & L’AMOR CASTAGNA (VERSIONE BUTTER FREE DELLA RICETTA DE LA CUCINA ITALIANA)

Oggi non si chiama più La canna, ma San Basilio. Ci sono stata da poco, in quel locale dove la mia mamma era accolta come una principessa. E mi sono emozionata ricordando la storia della zia Pina e dello zio Eugenio, un trovatello dall’intelligenza vivace e con il pallino degli affari. È una storia di lavoro e di riscatto. Ma è soprattutto una storia d’amore.

 

 

 

LA CANNA

Era un trovatello.
Uno di quei bambini abbandonati sui gradini della chiesa di Santo Stefano.

Forse per scherno -siamo alla fine dell’Ottocento-, all’anagrafe di Verona l’avevano chiamato Eugenio: di nobile stirpe.

Era stato affidato a Oreste e Bruna, gestori della minuscola osteria proprio di fronte a ponte Pietra.
La coppia, ormai un po’ avanti con l’età, lo aveva amato come un figlio.

Oreste gli aveva insegnato i trucchi del mestiere.
E questo ragazzo, dall’intelligenza brillante e tanta tanta voglia di fare, aveva trasformato la rivendita di famiglia in un locale semplice ma molto frequentato.

“Se una bottega non cresce, cala”, gli ripeteva continuamente il padre adottivo.
Il figlio allora cercava di apportare migliorie, di stimolare la madre a trovare nuove ricette da proporre agli avventori, di acquistare vini diversi dai soliti.

Alla morte dei genitori, Eugenio aveva poco più di vent’anni.
Era un ragazzotto un po’ tarchiato, con un paio di grandi baffi neri, sempre attivissimo e con il pallino degli affari.
Negli anni in cui aveva lavorato, era riuscito ad acquistare non solo l’osteria di Ponte Pietra, ma anche l’intero stabile.
Qui andò ad abitare dopo il matrimonio con Pina, la ragazza minuta e timida di cui era tanto innamorato.

La casa era piccola e poco razionale, ma da quel terrazzino sull’Adige si godeva forse la migliore vista della città.
Soprattutto al tramonto, quando il cielo si infuocava alle spalle della cupola di San Giorgio.
Eugenio si immaginava su quel balcone con un bimbo in braccio, a indicare al piccolo il sole che scendeva.

Lo desiderava tanto, un bambino.
Pina era rimasta incinta più volte, ma non era mai riuscita a portare a termine una gravidanza.
Così, le soddisfazioni lavorative del marito erano appannate dalla tristezza per queste cocenti delusioni.

Gli affari invece andavano bene, benissimo.
Eugenio aveva acquistato altri immobili, di cui andava fiero.
Aveva aperto anche un ulteriore esercizio commerciale in quel quartiere che stava nascendo appena al di fuori delle mura della città.

La zona, originariamente paludosa, era stata da poco bonificata e l’edificio sorgeva dove un tempo c’era un canneto.
Per questo, la sua nuova osteria, Eugenio aveva voluto chiamarla “La Canna”.

 

 

Quattro finestre sulla strada, il gioco delle bocce in un cortile ombreggiato da foglie di vite, porte di legno scuro che introducevano a due salette tinteggiate di fresco.

Specialità della casa: la trippa alla veneta, che veniva fatta bollire e insaporita con un soffritto di verdure e rosmarino prima di procedere a una lunghissima cottura con l’aggiunta di brodo.
Naturalmente, abbinata a un buon vino delle vallate veronesi.

Il locale ebbe un tale successo che Eugenio decise di cederlo e di cambiare mestiere: avrebbe offerto ad altri la propria consulenza durante l’apertura di esercizi commerciali.

Fu a questo punto della storia che conobbe i miei nonni: due giovanissimi, sparuti sposini appena arrivati in città dalla più remota provincia per rilevare “La gabbia d’oro”, un locale in pieno centro.

La nonna Carolina aveva poco più di diciotto anni.
Portava con sé l’eterna tristezza per aver perduto la madre in tenera età e, insieme, la gioia di una gravidanza appena iniziata.
Il nonno Massimino, faccia da ragazzino e mille progetti tra le dita, sognava per sé e per la propria famigliola un futuro cittadino.

Progetti e futuro, purtroppo, si infransero immediatamente: una brutta polmonite lo portò via in pochi giorni.

Ma la mia nonna non rimase sola nella nuova città: Eugenio e, soprattutto, Pina le stettero vicini e attesero con lei l’arrivo della bimba che sarebbe diventata la mia mamma.
“La chiameremo Massimina, come il papà che non ha conosciuto”, propose Eugenio.
Di fatto, poi, per tutti divenne “Mina”.

Era una bambina bellissima e, secondo me, anche un po’ smorfiosa.

Carolina lavorava tutto il giorno al locale lasciatole in eredità dal marito, così Pina si era offerta di tenerle la piccola durante il giorno.
In realtà non si limitava a questo: la ricopriva di regali, le comprava i vestiti più belli e scarpette di vernice deliziose anche se dolorosissime.

Nel frattempo, la vita di Eugenio si era fatta sempre più agiata.
Aveva acquistato ancora altri immobili e una bella auto, con la quale si spostava in la città per i diversi affari che stava seguendo.

Portava spesso con sé la moglie.
Sul sedile posteriore, sfoggiava orgoglioso quella bimba che ormai era diventata la mascotte di tutti i suoi clienti.

C’era un locale che, a Mina, piaceva più di altri: era l’osteria “La canna”.
Le piaceva per i fiori che raccoglieva nel giardino, per il gioco di bocce che stava a guardare incantata, per la gassosa che immancabilmente le veniva offerta in un bicchiere sfaccettato.
Ma le piaceva soprattutto perché lì la attendeva un’accoglienza speciale.

Gli avventori la salutavano con sussiego.
L’inserviente abbassava la testa in segno di rispetto.
I gestori, vedendola, esclamavano un ”Benvenuta alla nostra padroncina” di cui si sarebbe vantata per tutta la vita.

Erano momenti magici.
Elegante, ammirata, ossequiata, dimenticava la mancanza del proprio papà, l’impossibilità di stare con la mamma, la vita di tutti i giorni.

Ricambiava i saluti con fare benevolo.
Sorrideva camminando impettita al fianco di Eugenio e Pina.
Accettava con magnanimità i gesti di ammirazione.

Aveva l’impressione, per un istante, di essere la principessa di una fiaba.

Una splendida fiaba di cui il re e la regina erano una donna minuta e timida, e un trovatello dall’intelligenza pronta con il pallino degli affari.

 

 

STAMPA LA RICETTA
AMOR CASTAGNA (BUTTER FREE)
Adoro le castagne, sotto tutte le forme: caldarroste, marron glacé, castagnaccio... Qualche tempo fa, su La Cucina Italiana -la mia rivista food preferita, sulla quale ho avuto l'onore di vedere pubblicata la mia TORTA TIGRATA ALLA MANDORLA-, era comparsa questa ricetta. Ecco qui la mia versione BUTTER FREE: rapidissima, semplice semplice, bella da vedere: una buona soluzione per le merende e le colazioni autunnali.
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Tempo di preparazione 15 MINUTI
Tempo di cottura 30 MINUTI
Porzioni
PORZIONI
Ingredienti
  • 150 g ZUCCHERO SEMOLATO
  • 3 UOVA
  • 120 ml OLIO di RISO
  • 75 g FARINA di CASTAGNE
  • 65 g FARINA 00
  • 65 g FARINA di MAIS
  • SALE
  • 8 g LIEVITO VANIGLIATO
Tempo di preparazione 15 MINUTI
Tempo di cottura 30 MINUTI
Porzioni
PORZIONI
Ingredienti
  • 150 g ZUCCHERO SEMOLATO
  • 3 UOVA
  • 120 ml OLIO di RISO
  • 75 g FARINA di CASTAGNE
  • 65 g FARINA 00
  • 65 g FARINA di MAIS
  • SALE
  • 8 g LIEVITO VANIGLIATO
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Istruzioni
  1. PRERISCALDO il FORNO (ventilato) a 160°C.
  2. CON la PLANETARIA (frusta a filo) monto le UOVA con lo ZUCCHERO SEMOLATO per almeno 10 minuti.
  3. AGGIUNGO un po' alla volta l'OLIO di RISO e continuo a frullare.
  4. SETACCIO -insieme al SALE- la FARINA di CASTAGNE, la FARINA 00, quella di MAIS e l'AMIDO di FRUMENTO. Le unisco un po' alla volta all'impasto e frullo ancora fino a ottenere un composto omogeneo.
  5. AGGIUNGO il LIEVITO VANIGLIATO e frullo brevemente.
  6. SPRUZZO con lo SPRAY STACCANTE una TEGLIA SCANALATA (le misure della mia sono 11 cm x 29 cm h. 6 cm, ma ne esistono anche di più corte e profonde). Vi trasferisco il COMPOSTO.
  7. INFORNO e cuocio per circa 30 minuti.
  8. FACCIO RAFFREDDARE un po', poi rovescio il dolce su una griglia e completo il raffreddamento.
Recipe Notes

LA CASTAGNA: è un frutto autunnale, la cui classificazione scientifica è Castanea sativa. Viene in genere arrostita (caldarroste) o bollita. Con la sua farina viene preparato il castagnaccio.  ROBOT: Ho usato la planetaria KitchenAid, ma questa ricetta può essere eseguita anche con altri robot o a mano. - FORNO: Quelli indicati nella ricetta sono tempi e temperature di cottura effettivi (la temperatura è stata misurata con termometro a sonda) per il forno Gaggenau; per altri forni, potrebbero essere diversi. Se non indicato diversamente nel testo, la cottura avviene ponendo il cibo al secondo livello del forno, incominciando dal basso. - INGREDIENTI: Se non indicato diversamente nel testo, le uova utilizzate sono di misura media e a pasta gialla. - FONTE: Mi sono ispirata alla ricetta de La Cucina Italiana, rivista che ricordo sempre con simpatia e ringrazio di cuore. - SE VI È PIACIUTA QUESTA RICETTA, provate anche il CASTAGNACCIO.

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