LUOGHI DEL CUORE & I TARALLI CON MANDORLE E PEPE (RICETTA BIMBY)

Ci sono luoghi che ti avvolgono con il loro fascino, e ti entrano per sempre nel cuore. Per me, la Valle dei Templi di Agrigento e la spiaggia di Sampieri sono tra questi.

La Valle dei Templi

Prendete nota
Se volete visitare la Valle dei Templi, procedete in quest’ordine:

  1. Prenotate una guida. La nostra, Anna Lisa, laureata in lettere moderne e bilingue (di madre tedesca), era preparata e simpaticissima.
  2. Parcheggiate all’ingresso in basso, il Porta V.
  3. Prendete un taxi e fatevi portare all’ingresso più in alto, quello del Tempio di Giunone.

In questo modo potrete percorrere la valle in discesa, con minor fatica.
E gustarla appieno.

C’è un altro particolare da ricordare: la Valle dei Templi va visitata la mattina.
Perché fa più fresco.
E, soprattutto, per sfruttare la splendida luce delle prime ore del giorno.

Siete all’ingresso del Tempio di Giunone?
Sarà la guida ad acquistare il biglietto per voi, e il vostro viaggio a ritroso nel tempo potrà incominciare.

Emozione
Lo so che mi ripeto, e me ne scuso.
Ma camminare nella Valle dei Templi è un’esperienza dello spirito.

Questo sito denso di storia è uno dei miei luoghi del cuore.
Perciò, se leggendo il mio resoconto avrete la sensazione che io ne sia profondamente coinvolta, state certi che è effettivamente così.

Un breve ripasso
Non so per voi, ma per la sottoscritta -la cui memoria illanguidisce- è d’obbligo rispolverare le parti del tempio greco.

Sul basamento, lo stilobate, cui si accede mediante una rampa, poggiano le colonne.
Esse frequentemente costituiscono il perimetro del tempio, sono composte di più blocchi poggiati l’uno sull’altro e si concludono in alto con il capitello (dorico, ionico o corinzio dal meno al più elaborato).
Sui capitelli delle colonne poggia la trabeazione, che si divide in tre porzioni sovrapposte: l’architrave, il fregio (un’alternanza di metope decorate e triglifi a tre fasce verticali) e la cornice.
La parte superiore della facciata è costituita dal frontone, che racchiude il timpano triangolare ornato di sculture.
L’intera struttura è coperta dal tetto, con tegole in marmo o terracotta.

Il cuore del tempio è uno spazio rettangolare buio riservato ai sacerdoti. Si tratta della cella o naòs. In esso si trova -grosso modo nel punto in cui nelle nostre chiese c’è l’altare- la statua della divinità rivolta verso l’ingresso.
Il pronao, una specie di portico colonnato, precede il naòs.
Dietro la cella, invece, può essere presente un opistodomo, uno spazio in cui veniva custodito -chiuso da cancelli per evitare furti – il materiale necessario per i riti religiosi.

A seconda del numero di colonne, le denominazioni sono differenti. Dal tempio in antis (con due sole colonne davanti al pronao) si arriva al periptero (completamente circondato) e addirittura al diptero (in cui le colonne sono due file).

Un recinto sacro (tèmenos) e un altare davanti al tempio sono riservati ai riti aperti alla popolazione.

E adesso…
Ecco, adesso non aspettatevi le descrizioni che potreste trovare in qualsiasi sito dedicato alla Sicilia.
No, assolutamente.
Vi parlerò della “mia” Valle dei Templi.

Solo un accenno alla sua immensa estensione (1300 ettari, tredicimilioni di metri quadri, milleottocentoventi campi di calcio), alle necropoli, ai santuari, alle due agorà, al quartiere ellenistico di epoca romana e alle otto colonne del tempio di Eracle.

Per quanto riguarda il Giardino della Kolymbethra, nulla posso aggiungere all’articolo scritto per Pane per i tuoi denti qualche tempo fa.
Ma vi avviso che, da qualche anno, è possibile percorrerne gli affascinanti ipogei. Noi, per non sbagliare, abbiamo aggiunto quest’ultima visita al programma delle prossime vacanze.

A ridosso della Kolymbethra c’è il tempio dei Dioscuri, una arbitraria ricostruzione del primo Ottocento.
Quattro colonne e parte della trabeazione creano uno scorcio da cartolina e da quadro neoclassico: forse kitsch, sicuramente nostalgico, ma -nonostante tutto- piacevole e rilassante.

“Le rovine del Tempio di Giove… si stendono per un lungo tratto, simili agli ossami d’un gigantesco scheletro”.
Lo scriveva Goethe nel suo meraviglioso Viaggio in Italia (se non l’avete già fatto, leggetelo!!! È un libro di una modernità disarmante).

A quasi trecento anni di distanza, la sensazione è ancora la stessa.
Le smisurate colonne giacciono lungo il sentiero, circondate da arbusti e fili d’erba, inanimate come i corpi dei telamoni poco distanti.
Sulle loro scanalature, tracce degli antichi stucchi.
La guida ci diceva di toccarle. Io le ho sfiorate soltanto con lo sguardo.

Sulla facciata del Tempio di Giunone, alto sulla collina, la luce del sole si spennella uniformemente, rendendone il colore ancora più dorato e permettendo di scattare splendide foto.
Solo alcune delle colonne di questo edificio periptero sono integre, solo parte di esse sostiene la trabeazione.
Ciononostante, anziché apparire monco, il tempio di Giunone acquista – se possibile – ancora più fascino.

Del Tempio della Concordia, credo di essermi innamorata sette anni fa, la prima volta che l’ho visto attraverso le finestrine ovali della nostra camera.
Ricordo che, quella notte, non ho dormito, proprio come una ragazzina alla prima cotta.
Mi alzavo continuamente con la scusa di andare in bagno. In realtà, per poter vedere il profilo dell’antico santuario accarezzato da tutte le sfumature della notte.

Il Tempio della Concordia è, come quello di Giunone, periptero esastilo: sei sono le colonne della facciata, tredici quelle sui lati.
Per farle apparire più leggere, le colonne sono rastremate verso l’alto.
E gli spazi presenti tra di esse non sono tutti uguali, ma calcolati in modo da farle combaciare con metope e triglifi.

Non si conosce il vero destinatario di questo edificio religioso. Il nome “Concordia” è stato arbitrariamente scelto perché compariva in un’iscrizione.
Però a me piace pensare che fosse dedicato ad Athena: un prezioso omaggio all’armonia della cultura e dell’intelligenza.

Un desiderio
L’archeoastronomia ci racconta che – da duemilacinquecento anni – i raggi del sole penetrano nella cella parallelamente al suo asse soltanto due volte l’anno: in corrispondenza degli equinozi.
Assistervi dev’essere un’esperienza emozionante.

Sarebbe bellissimo se la Valle dei Templi aprisse le porte ai visitatori in occasione di questi eventi: io non potrei mancare per nulla al mondo.

Mi alzerei prestissimo.
Anzi, probabilmente non dormirei affatto.

Mi metterei ordinatamente in fila prima dell’alba.
Salirei trepidante i gradini.
Percorrerei con religioso rispetto la lunghezza della navata.
Mi fermerei là dove un tempo era posta la statua della divinità.

Rimarrei immobile, silenziosa, trattenendo il respiro.

Strizzando gli occhi, guarderei la luminosità farsi via via più intensa.
Osserverei ipnotizzata la lama di luce allungarsi sul pavimento, fino a raggiungermi e a inondarmi.
La mia pelle si riscalderebbe, i capelli sembrerebbero più chiari, le mie labbra si schiuderebbero.

I miei occhi, rivolti a oriente come quelli del simulacro divino, brillerebbero.

Brillerebbero per i raggi del sole.
Per la felicità.
E, forse, anche per la commozione davanti a tanta bellezza.

Sampieri

Ci sono due momenti del giorno in cui Sampieri è magica.

Il primo è la mattina, quando le casette color avorio dei pescatori – sul promontorio occidentale – sono illuminate dalla luce bianca del sole.
I piccoli fabbricati hanno la stessa tonalità della spiaggetta sottostante, ingombra di barche.
E le imposte verde scuro richiamano la scarna vegetazione, rinsecchita dalla salsedine e dal vento.

L’altro è il tramonto, quando il riverbero dorato fa brillare – a oriente – i resti della Fornace Penna.
Che, anche se stanca e sbrecciata, risplende sulle pietre levigate della punta “Pisciuotto”.

Della fornace, costruita all’inizio del Novecento e semidistrutta da un incendio doloso nel 1924 – socialisti e fascisti se ne contesero la paternità – rimangono le pareti perimetrali e la ciminiera, che la fanno somigliare a una cattedrale.

Al tempo si trattava di uno stabilimento modernissimo.
La posizione fu scelta per la presenza di acqua dolce e argilla (il pantano definito dal geografo Idrisi Gadir as Sarsur), oltre che per la vicinanza di zone di attracco e ferrovia.
Da qui sono partiti i laterizi che hanno costruito Tunisi dopo la guerra del 1911.

Tra i due promontori, corre una lunghissima spiaggia di sabbia fine.

E poi c’è il mare: trasparente, verde, turchese, azzurro… con una linea blu cobalto a delimitare l’orizzonte.
Un’acqua limpida e tiepida, perforata in più punti da piacevolissime correnti fredde.
Un’acqua che, al mattino presto, può nascondersi sotto una suggestiva e pericolosa nebbiolina che qui chiamano “lupa (puttana?) di mare”

Ecco, queste sono le bellezze di Sampieri.
Per il resto, il paese è costituito da una manciata di case spettinate, spesso consunte.
Quasi tutte a uso e consumo dei villeggianti.

Ma Sampieri non è solo un centro turistico.
Ha una storia antica e prestigiosa alle spalle.

Fu insediamento greco: si chiamava Apolline, in onore di Apollo Archegete, a cui pare fosse dedicato un tempio.

Il solito Idrisi, nel XII secolo, ne scrisse indicandola come Marsà Siklah, il “porto di Scicli”.

Successivamente comparvero denominazioni più simili alle attuali: San Pietro (Sampieri), Samuel (San Michele), Pissoto (Pisciotto).
E si raccontò che da questo golfo partivano navi cariche di mercanzia (granaglie, vino, bestiame, canapa, carrube e… scope assemblate con foglie di palma dalle donne del posto).

Le merci erano quasi tutte dirette alla volta di Malta, distante poco più di cento chilometri.
Tanto vicina da poterla intravedere nelle giornate terse.
E da poterne sentire i colpi di cannone sparati all’alba e al tramonto.

Oggi qui si dice che la visibilità dell’isola sia una leggenda metropolitana.
Ma gli scoppi dei fuochi d’artificio maltesi si sentono ancora.

Sampieri ha una collocazione centrale nel Mediterraneo.
Fu un importante approdo per la navigazione, tanto che un antico pozzo – poco distante dalla fornace Penna – riforniva di acqua dolce le navi di passaggio.
Fu anche ubicazione strategica per i trasporti e i commerci: oltre alle città della Sicilia, ne usufruirono i genovesi, i napoletani e perfino gli inglesi. Cosa che la rese un porto fiorente.
Ma la sua posizione favorevole la espose purtroppo anche agli attacchi pirateschi, soprattutto turchi, che furono molteplici e deleteri.
Addirittura con la riduzione in schiavitù della popolazione del luogo.

Per questa ragione la zona venne presidiata con posti di avvistamento e, probabilmente, torri di cui sfortunatamente non è rimasta traccia.

Sampieri.

Per me è riposo.
È rimanere stravaccata sotto l’ombrellone a leggere o a scrivere su WhatsApp resoconti di viaggio che verranno postati sul blog.
È gustare fresche insalatone e frizzanti granite di limone.
È nuotare a mezzogiorno e passeggiare lungo la riva verso sera.

Ed è quella sottile sensazione di nostalgia che mi pervade, negli ultimi giorni di vacanza, al pensiero di dover salutare la mia adorata Sicilia.

I TARALLI CON MANDORLE E PEPE
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I TARALLI CON MANDORLE E PEPE (RICETTA BIMBY)
La ricetta è della mia amica Paola. La Paola del croccante alle mandorle, per intenderci. Ergo, affidabilissima. Potete modificare a piacimento la quantità di pepe, a seconda di quanto, i taralli, li volete piccanti. Sarebbe bello provare ad aggiungere dei cubetti di pancetta affumicata: prometto che, al prossimo tentativo, lo farò.
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Tempo di preparazione 10 MINUTI
Tempo di cottura 25 MINUTI
Porzioni
PEZZI
Ingredienti
  • 250 g FARINA 00
  • 50 g BURRO a temperatura ambiente
  • 5 g SALE
  • 5 g PEPE
  • 7 g LIEVITO ISTANTANEO per torte salate
  • 80 g MANDORLE con la pellicina, tagliate a pezzetti + un po'
  • ACQUA q.b.
Tempo di preparazione 10 MINUTI
Tempo di cottura 25 MINUTI
Porzioni
PEZZI
Ingredienti
  • 250 g FARINA 00
  • 50 g BURRO a temperatura ambiente
  • 5 g SALE
  • 5 g PEPE
  • 7 g LIEVITO ISTANTANEO per torte salate
  • 80 g MANDORLE con la pellicina, tagliate a pezzetti + un po'
  • ACQUA q.b.
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Istruzioni
  1. PRERISCALDO il FORNO a 190°C (ventilato).
  2. NEL BOCCALE del BIMBY, unisco alla FARINA 00 il SALE, il PEPE e il LIEVITO ISTANTANEO setacciato. Frullo con due o tre colpetti a velocità 4.
  3. AGGIUNGO il BURRO ammorbidito, faccio "sabbiare" con qualche colpetto a velocità TURBO.
  4. UNISCO le MANDORLE tagliuzzate, le distribuisco nel composto con brevi colpi in senso ANTIORARIO.
  5. DAL FORO del coperchio, aggiungo gradatamente l'ACQUA e impasto con il programma SPIGA fino a ottenere un composto lavorabile con le dita.
  6. DIVIDO l'impasto in più parti e formo dei CILINDRETTI dello spessore di un mignolo che arrotolerò formando degli anelli. Eventualmente, posso aggiungere qualche pezzetto di mandorla. DISTRIBUISCO i taralli sulla leccarda del forno ricoperta con CARTA FORNO.
  7. CUOCIO per 15 minuti, poi giro la leccarda e continuo la cottura per altri 10 minuti circa (o comunque fino a doratura).
  8. SERVO i taralli FREDDI. SI CONSERVANO per qualche giorno in una SCATOLA di LATTA.
Recipe Notes

I TARALLI (TARALLINI): sono prodotti da forno tipici della Puglia, che vengono però preparati anche in altre regioni d'ITALIA, come la Basilicata (tarallo aviglianese) e la Toscana (biscotti salati all'anice). Si tratta di anelli di pasta non lievitata cotti in forno. L'impasto base è composto di farina, acqua o vino, olio o burro e sale a cui vengono talora aggiunti ingredienti come il pepe o i semi di finocchio (da Wikipedia). - ROBOT: Ho usato il Bimby/Thermomix, ma questa ricetta può essere eseguita anche con altri robot o a mano. - FORNO: Quelli indicati nella ricetta sono tempi e temperature di cottura effettivi (la temperatura è stata misurata con termometro a sonda) per il forno Gaggenau; per altri forni, potrebbero essere diversi. Se non indicato diversamente nel testo, la cottura avviene ponendo il cibo al secondo livello del forno, incominciando dal basso. - SE VI È PIACIUTA QUESTA RICETTA, provate anche la TORTA DI TROPEA.

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